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Per Aspera Ad Veritatem n.2
L'azione terroristica della mafia

Prefetto 1a cl. Gaetano MARINO - Direttore del SISDe




Nel 1991 il Legislatore italiano riconosceva formalmente che i gruppi criminali organizzati, minacciando le istituzioni e lo sviluppo civile della convivenza, costituiscono un pericolo per la sicurezza dello Stato e un fattore di eversione dell'ordinamento democratico costituzionale. Contestualmente, ai Servizi di informazione per la sicurezza veniva affidato il compito di estendere, ciascuno per la propria area di competenza, il SISMi all'estero e il SISDe all'interno del territorio nazionale, l'attività informativa anche nei confronti del crimine organizzato: ne è scaturito un grande progresso qualitativo dell'azione di contrasto. La comunità di intelligence internazionale, al contrario, ha rifiutato per anni l'idea di doversi impegnare contro il crimine organizzato. In questo senso i servizi italiani sono stati trainanti ed oggi possono vantare un vero primato organizzativo nel condurre questa lotta. Il passaggio storico è stato significativo poiché esso ha segnato una svolta nella percezione, sul piano istituzionale, della minaccia mafiosa. Un momento importante che ha visto il potenziamento dell'azione di contrasto con l'ulteriore istituzione della Direzione Investigativa Antimafia prima e dalla Procura Nazionale poi, nonché con l'introduzione di incisive misure sul piano amministrativo e del diritto penale, sostanziale e processuale.
Tutti questi provvedimenti convergevano verso il consolidamento di un disegno strategico iniziato qualche anno prima e teso ad adeguare strutture e strumenti a disposizione dello Stato per combattere l'eversione criminale. Era quella una fase delicata del Paese al quale purtroppo il destino avesse riservato momenti di tensione ancora più gravi con le stragi di Capaci e di via D'Amelio, dalle cui ferite derivò un rinnovato sforzo di ulteriore potenziamento dei mezzi di contrasto.
Lo Stato ha in sostanza fatto tesoro dell'esperienza e, di fronte alle organizzazioni criminali che adottavano rapidamente le proprie contromisure, non si è limitato a difendersi ma ha insistito con vigore nella sua offensiva. Ciò spiega finalmente i tanti successi delle Istituzioni e dello Stato.
Valutando, più specificamente, gli aspetti che riguardano il coinvolgimento degli organismi di intelligence nell'azione di contrasto del fenomeno di tipo mafioso, non vi è dubbio che l'impiego del dispositivo costituito dalla Comunità di intelligence ha rappresentato e rappresenta il livello inequivocabile della situazione d'allarme, nonché la misura della risposta. I cittadini hanno del resto imparato a riconoscere la pericolosità delle attività mafiose e l'enorme potenziale offensivo e destabilizzante delle associazioni criminali. È quindi errata l'impostazione di chi, in Italia e all'estero, ritiene sproporzionato il coinvolgimento dei Servizi di sicurezza per il danno che recherebbe all'immagine internazionale del Paese.
In una recente riunione dei Direttori dei Servizi di sicurezza europei è stata evidenziata l'esigenza di una partecipazione intensa dell'intelligence internazionale alla lotta alla criminalità. Vi è da ritenere che l'immagine del Paese si tuteli prendendo contezza dei problemi, traendone le necessarie conseguenze, evitando di minimizzare la minaccia e non abbassando mai il livello di attenzione, nemmeno quando il silenzio e le pause potrebbero far pensare ad un abbandono del campo da parte del nemico. Un nemico che è stato e resta forte, tatticamente e strategicamente dotato, e per questo da non sottovalutare neppure inattivo.
Vi è da dire che anche prima del 1991 sarebbe stato possibile attribuire a singoli episodi criminali potenzialità destabilizzanti. Ma i concetti di eversione e di pericolo per la sicurezza dello Stato contengono un quid pluris, significando precisamente l'idea di una criminalità organizzata ormai strutturata nella contrapposizione illegale, nella ricerca del contropotere, del condizionamento pressante e pesante portato avanti con la razionale violenza e con l'aggressione terroristica, allo scopo di piegare comunque il potere legale.


Percepiscono oggi chiaramente tale pericolo anche quei Paesi dove il fenomeno criminale, non di rado importato, muove i primi passi e dove mai fino a ieri lo Stato si aspettava di essere minacciato dalla presenza organizzata del crimine.
Nel seminario internazionale - organizzato a Roma dal SISDe nello scorso mese di aprile per i rappresentanti di 15 Servizi di intelligence europei - sono state raccolte preoccupazioni corali per il pericolo eversivo rappresentato dal crimine organizzato che, in virtù del nuovo contesto geopolitico, della velocizzazione degli scambi e delle comunicazioni, della crescente mobilità di persone e soprattutto di capitali, tende sempre maggiormente a svincolarsi dal legame territoriale e ad assumere connotati transnazionali. La minaccia alla sicurezza dello Stato è costituita dalla contaminazione del circuito legale dell'economia e, talvolta, della rappresentanza politica, dal deliberato proposito di mettere in discussione il monopolio statuale della legge, espressione della sovranità popolare, dal tentativo di accreditare un peso contrattuale e politico dinanzi alla comunità dei cittadini. Lo scenario interno ed internazionale deve rendersi sensibile rispetto ai nuovi soggetti che irrompono sul campo e che rivelano alleanze e connubi criminali di forza, di valenza eversiva.
Le risultanze investigative delle Forze dell'ordine hanno già fornito riscontri in questo senso, ed analoghi segnali scaturiscono dal lavoro informativo e di intelligence. Il circuito dei traffici illegali è assai preoccupante e vede le organizzazioni mafiose in prima linea accanto ad altri tipi di referenti talvolta operanti per fini di natura non sempre coincidente. Non è facile al momento ipotizzare una alleanza eversiva tra varie componenti, che vada al di là dei reciproci interessi economici criminali. Purtuttavia la natura dei traffici desta grave allarme, così come il riciclaggio dei capitali minaccia l'affidabilità e la tenuta delle regole dell'intero sistema economico. A fronte di tale situazione sembra quindi retorico chiedersi se la scelta di impegnare gli organismi di intelligence possa essere considerata valida.
L'attività informativa, infatti, è un momento centrale dell'azione preventiva, che a sua volta assume un ruolo fondamentale nella lotta al grande crimine organizzato. Gli strumenti dell'intelligence consentono di interpretare i fatti e i fenomeni, di prevedere l'incidenza e l'evoluzione di essi a breve e medio termine, di individuare ove maggiori siano le possibilità di penetrare gli ambienti tradizionalmente omertosi dell'organizzazione mafiosa, i soggetti che operano all'interno degli aggregati criminali, i reticoli di relazione all'interno e all'esterno del territorio nazionale, di avvertire infine gli organi di polizia in tempo utile per un intervento più specifico di tipo preventivo e poi repressivo. In proposito è stato ripetutamente riconosciuto come significativo il contributo fornito dal SISDe all'azione di contrasto.


Il dovere della riservatezza e l'aridità dei fatti non fa apprezzare la grande mobilitazione di energia e di sacrificio che vi è dietro a ogni attività di intelligence, ma ogni cittadino deve sapere che l'impegno è massimo. Nel 1994 l'attività del servizio ha consentito di arrestare nel settore dell'eversione criminale ben 547 soggetti, di cui 49 latitanti, e di denunciare 299 persone. Nel primo quadrimestre dell'anno in corso le puntuali informazioni del SISDe hanno attivato indagini delle forze di polizia che hanno già portato all'arresto di 162 soggetti, di cui 16 latitanti, e alla denuncia di 135 persone. Questi dati essenziali sono citati - ma nel contesto delle periodiche relazioni del Servizio sono forniti in forma più analitica - per evidenziare che la nuova prospettiva dell'attività di intelligence, il salto di qualità che la distingue, non mette in secondo piano i precisi riscontri dell'attività operativa in merito alla quale esiste, e va rafforzato, uno stretto rapporto con gli organi di Polizia giudiziaria. Ancora è il caso di sottolineare che l'utilizzazione dei mezzi di intelligence ha il grande pregio di invertire un tradizionale squilibrio che ha sempre visto lo Stato inseguire i fenomeni piuttosto che anticiparli e prevederli. È sufficiente rileggere le recenti vicende del Paese per riscontrare come spesso gli interventi delle Istituzioni, sia a livello normativo che di coordinamento operativo, abbiano seguito lo scandire dei tempi in qualche modo imposto dall'organizzazione mafiosa. L'impiego delle potenzialità dei Servizi di intelligence consente, o dovrebbe consentire, di colmare questo scarto temporale, abbreviando la percezione della realtà. Ma c'è ovviamente di più, v'è un ritorno di efficacia assai più ampio: le modalità di acquisizione delle informazioni, la loro elaborazione e gestione, secondo i criteri dell'intelligence, sono utili per definire una strategia mirata a riconoscere gli spazi nei quali la criminalità organizzata esercita la sua influenza ed indirizza le sue mire di espansione, nonché i suoi canali di intervento ed il suo modus operandi.
Da qualcuno, più volte, è stata rivolta questa domanda: sono in grado oggi i Servizi di svolgere e sostenere al massimo un'azione così delicata ed impegnativa? Ovvero, quali sono i limiti che incontra il dispiegamento di un'attività così complessa? La risposta è un'occasione propizia per ribadire che proprio la storia della lotta al crimine organizzato ha insegnato che i risultati si ottengono quando si ha il coraggio di affrontare i problemi riconoscendone la rilevanza.
Dianzi si è cercato di illustrare che l'impegno dei Servizi è motivato dalla minaccia recata alla sicurezza dello Stato e che esso è indispensabile poiché consente la elaborazione di una strategia di contrasto in tempi utili. Purtuttavia, per essere più efficace, l'attività di informazione deve differenziarsi rispetto a quella che le forze dell'ordine possono già autonomamente realizzare. È un punto sul quale è necessario richiamare energicamente l'attenzione, anche in questa sede così qualificata.
L'obiettivo della prevenzione, in altri termini, per essere realistico e attendibile, deve andare al di là dell'immagine ed esplorare fenomeni e fatti che accadono nella realtà quotidiana. Il punctum dolens che si propone per una comune riflessione è che l'attuale quadro normativo non fornisce adeguati mezzi di garanzia funzionale agli operatori di Servizi: strumenti che consentirebbero un intervento più incisivo, in un quadro di legittimità dei fini ed in un contesto garantito da un'ampia gamma di controlli.


La carenza di strumenti di tutela genera, infatti, una situazione di incertezza che non giova alla qualità dell'attività svolta. Con viva soddisfazione, si è constatato che il tema delle garanzie funzionali e dei controlli è stato oggetto di attenzione da parte del Comitato parlamentare per il controllo sui Servizi di informazione e sicurezza, nella sua recente relazione. È del tutto evidente come non sia possibile relegare i Servizi di intelligence ad un ruolo di mera ausiliarità degli organi di polizia giudiziaria che, in determinate circostanze, chiedono il supporto dei mezzi tecnici e delle specifiche professionalità del Servizio e che, nell'ottica della massima cooperazione, vengono sempre coadiuvati. L'autonomia operativa che pure faticosamente il Servizio si sforza di concretizzare è, infatti, indispensabile per alimentare il circuito virtuoso che parte dall'informazione, procede con l'elaborazione e l'analisi e promuove una nuova fase della ricerca informativa, selezionata e mirata. Ma è alquanto paradossale che una raffinata cultura giuridica come quella italiana non si sia posto, in termini adeguati, il problema di distinguere tra legalità dei mezzi e legittimità dei fini, questione che, in paesi di alta democrazia come l'Inghilterra e la Germania, è stata affrontata e risolta in quanto rappresentativa di uno snodo cruciale.
Dalla relazione del Comitato parlamentare si evince la consapevolezza che i Servizi, talvolta, hanno l'esigenza «di superare la barriera della legge comune», concetto del resto in linea con quanto autorevolmente affermato dalla Corte Costituzionale nella ormai famosa sentenza 86/1977. Si tratta, in altri termini, di consentire agli operatori dei Servizi di avvalersi di strumenti analoghi a quelli già riconosciuti alla Polizia giudiziaria, seppure in contesti e confini diversi e in un quadro senz'altro gradito agli operatori del servizio: essi vogliono lavorare ed essere controllati, con il riconoscimento di piena legalità della loro azione.
Potrebbe allo scopo essere individuata un'alta istanza amministrativa o uno speciale Foro giurisdizionale. Al potenziamento del sistema dei controlli deve, in sostanza, corrispondere un adeguamento delle possibilità operative in un quadro di trasparenza che, superando la cultura del sospetto e i diffusi pregiudizi sui cosiddetti «Servizi Segreti», renda comprensibile l'utilità del lavoro di intelligence. In altri termini, pare necessario che i grandi progressi e i successi realizzati, dagli organi investigativi o dal comparto sicurezza, siano assistiti e rafforzati da un più adeguato prodotto dell'«intelligence». Ciò è ineluttabile ove si pensi al livello dell'aggressione mafiosa: gli attentati di Roma, Firenze e Milano del 1993 provano il crescendo e la valenza eversivi della mafia.
Il potere destabilizzante del terrorismo mafioso va combattuto con ogni mezzo possibile. Soltanto un'attività coordinata consentirà di sviluppare al massimo l'azione di prevenzione, in un'ottica moderna che veda la struttura della sicurezza e dell'intelligence accanto alle forze della magistratura in una lotta, senza quartiere, ad ogni forma del crimine.


(*) Da "Capaci - Quanto tempo fa" supplemento a cronache Parlamentari Siciliane n. 7 luglio 1995.
testo tratto dall'intervento del Prefetto 1a cl. Gaetano Marino al congresso "Capaci - Quanto tempo fa?", svoltosi a Palermo il 19, 20 e 21 maggio 1995.

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